C'è anche l'Ospedale Papa Giovanni XXIII tra i centri che hanno partecipato allo studio internazionale che per la prima volta ha quantificato il rischio di ammalarsi di tumore al seno in chi presenta mutazioni di un particolare gene, chiamato PALB2. Grazie a questo lavoro oggi sappiamo che le donne con questa mutazione genetica hanno un rischio di sviluppare un carcinoma alla mammella otto-nove volte superiore al resto della popolazione al di sotto dei quaranta anni. Rischio che è in media del 14% all' età di cinquanta anni e che sale al 35% dopo i settanta.
La ricerca è stata coordinata dall' Università di Cambridge e sviluppata con il contributo dell' Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, dell' Istituto FIRC di Oncologia Molecolare di Milano e dell' Ospedale di Bergamo. I risultati sono stati pubblicati giovedì 7 agosto 2014 su una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali, New England Journal of Medicine.
"La collaborazione con i colleghi di Cambridge e di Milano è stata possibile nell'ambito del progetto ASTROGEO, partito nel 2003 grazie alla sinergia con l'ASL di Bergamo - spiega Carlo Tondini, direttore dell'Unità di Oncologia e tra gli autori dello studio -. Questa collaborazione ha già portato all'inizio di quest'anno alla pubblicazione di altri due lavori, entrambi focalizzati sulle caratteristiche genetiche del tumore al seno, con particolare riguardo alla situazione nella nostra provincia. Uno è stato pubblicato su Genetics in Medicine, rivista ufficiale della American College of Medical Genetics and Genomics, che ha dimostrato che nel territorio bergamasco mutazioni del gene PALB2 sono relativamente frequenti. L'altro sulla rivista internazionale pubblicata dalla PLoS, una organizzazione no-profit di scienziati e medici che si sono messi insieme per rendere la letteratura medica e scientifica pubblicamente accessibile, utilizzando il concetto di peer review".
Il lavoro ha analizzato i dati genetici provenienti da 154 famiglie con mutazione del gene PALB2, identificate da 14 gruppi di ricerca provenienti da otto paesi (Australia, Belgio, Canada, Finlandia, Gran Bretagna, Grecia, Italia, Stati Uniti). I nuclei familiari coinvolti erano negativi alle mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 e dovevano aver registrato almeno un caso di tumore al seno al proprio interno. Ci ha permesso di garantire la relazione causale tra la mutazione PALB2 e la neoplasia.
Attraverso la loro osservazione i ricercatori hanno potuto individuare il rischio per diverse fasce d' età: tra i quaranta e i sessanta anni sei-otto volte maggiore rispetto al resto della popolazione e sopra i sessanta anni cinque volte superiore.
È stato definito anche il peso della storia familiare: infatti, chi ha la mutazione e proviene da famiglie che non hanno mai avuto casi di tumore al seno ha, a settanta anni, un rischio del 33% mentre chi appartiene a nuclei familiari con più casi e esordio della patologia in età precoce ha un rischio aumentato al 58%. Utilizzando lo stesso approccio, è stato valutato che il rischio di cancro dell' ovaio è 2,3 volte superiore per chi ha la mutazione del gene PALB2 e che tra gli uomini con questa alterazione genetica il rischio di tumore del seno ? 8,3 volte superiore.
In Italia si riscontrano circa 40.000 nuovi casi di tumore alla mammella ogni anno e una donna su otto rischia di ammalarsi nel corso della vita. Negli ultimi anni si è registrato un aumento dell' incidenza con picchi nelle donne fra 35 e i 50 anni e nelle ultrasettantenni. Oggi, più dell' 80% delle pazienti trattate in modo corretto guarisce. Un alto consumo di verdura diminuisce del 18% il rischio che aumenta invece del 14% con un elevato consumo di grassi saturi.
La ricerca è coordinata dai dottori Antonis C. Antoniou e Marc Tischkowitz della University of Cambridge ed è stata sostenuta in Italia dal contributo dell' Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro e fondi 5x1000 per la ricerca dell' Istituto Nazionale dei Tumori.